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MATERA. NARRARE LA COMPLESSITÀ CALEIDOSCOPICA DEI “SASSI” TRA PASSATO E PRESENTE

di Pino Gadaleta

D'una città non godi le sette o le settantasette meraviglie,

ma la risposta che dà a una tua domanda.

(Italo Calvino, Le città invisibili, Mondadori, 1993)

 

Caciocavallo, pane di Matera e vino Aglianico del Vulture soddisfano con gusto il culmine di un tour guidato alla scoperta dei Sassi e rispondono perfettamente alla domanda di Calvino sul godimento delle sette o settantasette meraviglie di questa città, eletta capitale della Cultura europea del 2019.

Cogliamo concretamente gli ancestrali sapori genuini di questa città rupestre, quando percorriamo i suoi sentieri millenari, levigati ed erosi dall’incessante calpestio e dallo scorrimento delle acque meteoriche sui suoi pendii, sapientemente raccolte nelle palombare, le plurisecolari cisterne per l’approvvigionamento idrico.

Il caciocavallo è un formaggio di pasta filata, ottimo se derivato dal latte della mucca podolica, bovino lucano e pugliese, che discende direttamente dal Bos primigenius o Uro, che ha un elevato potere di adattamento ad ambienti particolarmente difficili, infatti, tra le varie peculiarità ha le mammelle poco sviluppate, cosa che le consente di brucare nel terreno sassoso e avido di acqua delle Murgia.

Il pane di Matera, impastato con farina di grano locale, è antico come la pietra su cui è cotto.

Il vitigno Aglianico, innestato dai Greci nel VI sec a.C. durante la colonizzazione della Lucania, produce un vino forte, rosso, profumato, già noto come “Ellenico” in epoca romana, poi definito Aglianico in età aragonese (1400-1500), in seguito alla corruzione linguistica del termine in lingua spagnola.

Chissà se l’Aglianico non sia stato lo stesso “negro vino”, raccontato da Ulisse nell’Odissea, da lui preparato per ubriacare Polifemo e poi accecarlo?!

Il turista e viaggiatore non resiste all’impulso di immortalare nelle sue foto la scenografia dei Sassi perché ne è visceralmente sedotto, al pari di registi di tutto il mondo che ne hanno fatto una location eletta per girare film di successo.

Questa visione di massi calcarei bucherellati è il risultato dell’espansione demografica di Matera nel 1600 e 1700, che indusse gli abitanti ad occupare tutti gli spazi vivibili, ricavandoli da grotte, stalle e cisterne.

Matera è un gioiello incastonato nella roccia aspra e immutata, nonostante il turbinio e i tormenti delle vicende della Storia, tanto che ancora oggi, riscattando il recente passato di oblio, continua a brillare di notte con le sue mille luci presepiali.

Matera non è solo bellezza del paesaggio, del panorama dei Sassi che soddisfano un mero godimento estetico, ma sono la punta di un iceberg di valori che soddisfano bisogni inconsci, emotivi, e perciò narrano storie multisensoriali, che comunicano le verità di una conoscenza universale. Sono la rappresentazione di una armonia tra uomo e natura, conquistata attraverso la dura fatica di chi aguzzava l’ingegno in uno stato di necessità per sopravvivere, adattandosi all’ambiente avaro di acqua. I Sassi sono la stratificazione archeologica e psicanalitica di epoche storiche, tecniche, saperi culturali e tradizionali unici, ereditati da una civiltà che ci appartiene, che portiamo nel nostro dna.

Il passato drammatico della vita nei Sassi, infatti, rivive attraverso le 44 opere pittoriche di Carlo Levi, che si possono ammirare a Palazzo Lanfranchi, sede del Museo lucano di Arte medievale e moderna, in particolare nella tela “Lucania 61”, un’opera imponente che si sviluppa in cinque pannelli che raggiungono le dimensioni di 18,50 metri di lunghezza. Il titolo del dipinto rivela la partecipazione del pittore alla Mostra torinese delle Regioni nell’Esposizione Italia ’61, per meglio rappresentare la Basilicata, durante le celebrazioni del Centenario dell’Unità d’Italia. Nell’emozionante murale sono raffigurati con estremo realismo le condizioni di vita della popolazione che abitava i Sassi, prima dell’intervento di riqualificazione urbana avvenuta dopo il 1950. Nei volti segnati dei contadini, nelle loro labbra serrate è magistralmente evidenziata la sofferenza, meglio dire, il sentimento del sacrificio, che sottintende l’incrollabile fiducia nel riscatto e nell’avvenire. In quest’opera è presente al centro, con il volto trasfigurato di fanciullo, un altro artista, Rocco Scotellaro, scrittore e giovane sindaco di Tricarico, che ben esprime l’anima poetica della Lucania dei contadini.

I Sassi di Matera non sono mai stati percepiti in loco come “una vergogna nazionale”, se non a cominciare dall’Unità d’Italia in poi, quando la politica nazionale ne fece un emblema dello scandalo, sottolineando l’arretratezza ed il mancato sviluppo del Mezzogiorno italiano.

Narrare i “Sassi” non è affatto semplice, se si vuole cogliere la complessità caleidoscopica dei significati, le contraddizioni sottese alla celebrazione della Matera turistica, che a giusta ragione, è stata scelta per rappresentare quest’anno la cultura europea. Il turista più attento, il viaggiatore consapevole, non si accontenta degli eventi spettacolari, delle visite guidate mordi e fuggi, ma vuole riflettere alla luce di racconti più profondi, frutto di studi e approfondimenti meditati.

Diecimila anni di storia non si possono riassumere in un tour di visita di un paio di ore, salendo e scendendo per le larghe o ripide “gradelle” di questa città, in cui i tetti sono sepolcri e giardini pensili delle sottostanti case grotte che, a loro volta, sono il soffitto di cappelle ipogee bizantine.

La città della pietra, la denominazione di “Sasso” risale al 1204, fu scavata a ridosso del burrone percorso dal torrente Gravina e risulta frequentata già dal Paleolitico (13.000 anni a.C.). Molte delle sue abitazioni modellate nel tufo sono state vissute senza interruzione dall'Età del Bronzo (3500 -  1200 a.C.) sino al 1950.

Il Museo archeologico nazionale Domenico Ridola custodisce reperti di estremo interesse, dalla zanna di elefante preistorico alla ricostruzione fedele di una capanna del Neolitico, ai ritrovamenti vascolari della colonizzazione greca. I reperti archeologici fittili, trovati nel territorio di Matera, hanno permesso di individuare un’importante tipologia di ceramica a figure geometriche molto raffinata, denominata Serra d’Alto, frutto di una cultura neolitica dell’Italia che si sviluppò durante la seconda metà del V millennio a.C.

Il quartiere definito “Civita”, situato nella parte più alta della città rupestre, rappresenta la fase medievale di Matera, in particolare, il suo assetto urbanistico si sviluppa nell’Alto Medioevo intorno alla Cattedrale, edificata nel 1270, e dedicata dal XVIII sec. oltre che alla Madonna della Bruna, al martire Eustachio, identificato dalla tradizione come il generale romano Placido, che, convertito al Cristianesimo, prese il nome greco di ‘Ευσταχιυς (Eustachus, Eustachys), latinizzato in Eustachius’, che significa “producente molte e buone spighe”.

Eustachio divenne santo patrono della città nel X sec., ma anche protettore dei cacciatori e guardiacaccia, per via dell’episodio miracoloso che causò la sua conversione, quando, inseguendo un cervo di rara bellezza, vide comparire sulle sue corna una croce luminosa e sopra l’immagine di Gesù.
Il santo fu martirizzato dall’imperatore Adriano nel 140.d.C. perché rifiutò da cristiano di celebrare nel tempio di Apollo il rito di ringraziamento e gli onori delle vittorie dell’imperatore sui barbari. Condannato insieme ai suoi familiari ad essere sbranato da un leone nel Circo Massimo, quest’ultimo, benché inferocito, li lasciò indenni. Infine, introdotti vivi in un bue di bronzo arroventato, trovarono la morte, senza che i loro corpi fossero intaccati. Nella cattedrale materana è custodita una reliquia del santo all’interno di un avambraccio d’argento.

La vivacità culturale della Matera basso medievale si evince dal fatto che nella stessa corte di Federico II, il mitico imperatore svevo, operarono i giudici e letterati materani, tra questi Filippo da Matera, tesoriere del regno intorno al 1220, e Procopio da Matera, proto-notario nel 1232.

Sotto gli Angioini a Matera è documentata l’esistenza di mura e di un castello, come risulta da una disposizione del 1278 di Carlo I d’Angiò che ordinava il restauro del castello, lo stesso in cui si rifugiò il ribelle Palatino di Altamura, Giovanni Pipino, catturato con uno stratagemma da Roberto d’Angiò nel 1350.

La “Civita” mantenne il ruolo di propulsore dell’attività economica e politica cittadina sino al Cinquecento.

Nella cattedrale è ben visibile lo stemma araldico di Matera, in cui è raffigurato un bove podolico con tre spighe di grano in bocca. E’, forse, questo, un richiamo al significato del nome e un’allusione al conversione di sant’Eustachio?

Per quanto attiene, invece, all’origine del nome di Matera si possono annoverare diverse ipotesi, quasi tutte di derivazione dal greco antico. Si può pensare a “Mataia-olos”, tutto vacuo”, in riferimento alla gravina in cui sorge la città rupestre, ma anche convincente potrebbe essere, questa è un mia supposizione, la provenienza etimologica da Demetra, la dea Madre della Terra e del grano, che a sua volta è una contaminazione del culto di Iside, che ha per copricapo una rappresentazione delle corna di bue in cui è inserito il disco solare.

Alla fine di questo excursus narrativo ho provato a suggerire brevemente solo alcuni spunti di riflessione su cui sviluppare, arricchire, variare uno storytelling più completo, più verticale, mi riferisco alla profondità, di questa città, così diversa dalle altre e, perciò bene UNESCO, attraverso la preziosa professionalità di guide turistiche abilitate e preparate, soprattutto, a cogliere e trasmettere il genius loci durante le loro visite guidate turistiche.

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